23/02/2024
Parlare del 2024 come di un anno particolare per Candiolo sarebbe riduttivo, e anche ingiusto per un centro di ricerca e di cura dei tumori che, nella sua breve ma intensa storia, sostenuto dalla crescente generosità dei donatori, ha sempre cercato di fare, di ogni anno, un anno straordinario. Non si può non cogliere, però, tra i medici e gli operatori sanitari dell’Istituto di Candiolo – IRCCS il clima di soddisfazione, professionale e umana, per il prossimo arrivo di due apparecchiature sanitarie di ultima generazione.
Parliamo di grandi tecnologie, destinate ad aumentare la qualità complessiva delle attività di diagnosi e di cura dei tumori, perché capaci di prestazioni più veloci, precise e ‘intelligenti’, quindi con un ventaglio molto ampio di benefici per il paziente. Tra questi, il recupero in tempi più brevi della condizione fisica, dopo ogni singolo trattamento e dopo ogni ciclo, e il minor rischio di effetti collaterali grazie al dosaggio sempre più calibrato e al trauma sempre più circoscritto.
Il primo a entrare in funzione sarà una nuova Tomotherapy, che a maggio affiancherà l’apparecchio gemello, operativo già dallo scorso anno nel reparto di radioterapia, diretto dal Dottor Marco Gatti. Poi sarà la volta dell’angiografo, che prima dell’estate prenderà il posto di quello in attività nel reparto di radiologia interventistica, diretto dalla Dottoressa Irene Bargellini.
Per spiegare, in generale, a che servono, dobbiamo fare un passo indietro di oltre un secolo, distanza siderale in termini di conoscenze scientifiche, e riflettere sul fatto che molto spesso la tecnologia cambia per puntare, sempre meglio, agli stessi obiettivi. In questo caso, lo scopo, è ancora quello di raggiungere con la massima precisione e il minimo trauma consentiti dallo “stato dell’arte”, un determinato punto all’interno del corpo, vedendo quel si fa e come si fa, e correggendo, se serve, l’azione mentre si svolge; poi, una volta arrivati lì, osservare se ci sono alterazioni e decidere il da farsi.
È così che agisce, appunto, la medicina teleguidata: porta l’occhio dell’operatore, e con quello, spesso le opportune terapie, dentro l’organismo del paziente. Come dicevamo, la ricerca di una tecnica che permetta al medico di localizzare bene la patologia prima dell’intervento, evitando al paziente operazioni demolitive, non è una novità. I raggi X, che nel 1901 meritarono il Nobel per la fisica al loro scopritore, il tedesco Wilhelm Roentgen, testimoniano la lunga storia di queste modalità d’indagine e di cura, che da tempo si avvale anche di ultrasuoni e di campi magnetici, e si definisce nel suo complesso radiologia interventistica.
Tuttavia, se i vari tipi di onde elettromagnetiche usate per farsi strada ‘discretamente’ nei tessuti e colpire i tumori non cambiano da parecchi decenni, quel che continua a rinnovarsi in rapida cadenza è la qualità della visione con cui le immagini ‘interne’ giungono sullo schermo e su altri supporti. Ed è proprio la precisione nei dettagli che moltiplica l’efficacia degli strumenti teleguidati nella diagnostica e nella terapia, e incrementa la quota di interventi di tipo mini-invasivo rispetto a quelli tradizionali.
Sotto l’aspetto tecnico, la tomoterapia adopera la tecnica della Tac per acquisire immagini del corpo umano in strati successivi, con lo scopo sia di posizionare il paziente in maniera accurata, sia di valutare la risposta del tumore durante la radioterapia. A descrivere le caratteristiche della nuova Tomotherapy dell’Istituto di Candiolo – IRCCS non può che essere il Dottor Marco Gatti, Direttore della Radioterapia, che ogni anno cura più di mille pazienti. “E’ più efficiente e ha una miglior definizione, una qualità superiore delle immagini, grazie. Un più preciso algoritmo di ricostruzione delle immagini. In particolare, consente cicli di terapia più rapidi, con una cascata di notevoli vantaggi per i pazienti.
Il radioterapista può visualizzare in tempo reale il volume del bersaglio tumorale e lo adatta alla variabilità fisiologica: pensiamo a un tumore polmonare, che si muove durante la respirazione, ai movimenti volontari e casuali del paziente, agli errori di posizionamento e alle nuove situazioni che si possono verificare nel corso del ciclo di trattamento radioterapico, come ad esempio il dimagrimento. Un tumore non è un bersaglio fisso, ma è contenuto in un organismo vitale ed è quindi soggetto a modificazioni, movimenti e conseguenti dislocazioni, oltre a poter diminuire di diametro nel corso della terapia, per effetto della risposta alle radiazioni. In tutte queste situazioni, il programma di cura, da un a seduta all’altra, necessita di una ripianificazione in tempo reale.
Gli acceleratori lineari di ultima generazione, come il modello che già abbiamo a disposizione e l’altro che lo sarà tra qualche settimana, soddisfano al meglio questa complessa variabilità del bersaglio; lo fanno con una tecnologia che integra le naturali capacità di osservazione del medico e indirizza in misura crescente alla personalizzazione della terapia”. Quanto alle neoplasie per le quali la tomoterapia è più indicata, Gatti attinge alla sua lunga esperienza: “Sono in generale le neoplasia a ridosso degli organi critici come I tumori della testa e del collo, dell’addome e quelli paravertebrali e tutte le condizioni che richiedono campi di irradiazioni estesi come ad es. i sarcomi delle parti molli, laddove questa tecnica permette di trattare superfici di tessuto molto ampie con la precisione necessaria, nel rispetto degli organi critici circostanti.
Quanto agli scenari futuri, l’utilizzo della radiomica, che consente lo studio quantitativo delle immagini acquisite nelle varie fasi del trattamento radiante, potrà fornirci modelli predittivi della risposta del tumore alla radioterapia.”
Per parlare dell’angiografo, strumento che, grazie a un liquido di contrasto, dà la possibilità di osservare “dal di dentro” i vasi sanguigni, percorriamo una quarantina di passi ed entriamo nel regno di Irene Bargellini. Anche in questo caso, la novità del modello destinato al reparto è rappresentata da un netto miglioramento della qualità delle immagini, e a cascata, delle prestazioni.
“Limitandoci all’interventistica oncologica – spiega la Dottoressa Irene Bargellini, Direttrice del reparto di Radiologia dell’Istituto di Candiolo – IRCCS – le sue applicazioni sono sempre più numerose e mininvasive. Comprendono le diagnosi attraverso biopsia, la classificazione e il trattamento delle lesioni tumorali, la gestione di eventuali complicazioni legate a interventi chirurgici e trattamenti oncologici. Ad esempio, per eseguire drenaggi di versamenti addominali e toracici, drenaggi e dilatazioni delle vie biliari occluse, gestione del dolore legato a processi tumorali che invadono le ossa, o a crolli vertebrali legati all’indebolimento delle strutture ossee.
E ancora, lo usiamo sempre di più per embolizzare, cioè bloccare con microparticelle, i vasi che portano sangue al tumore, oppure per colpirlo con chemioterapici. Uno degli interventi più interessanti con angiografo è la radioembolizzazione epatica, una radioterapia ultraselettiva intra-arteriosa ad alta dose con cui trattiamo i cancri primitivi del fegato, come l’epatocarcinoma e il colangiocarcinoma, o le metastasi epatiche, quando questi tumori sono considerati inoperabili.
Consiste nel raggiungere le arterie del fegato che irrorano le lesioni e iniettarvi microparticelle, caricate con un isotopo radioattivo. Le particelle rimangono intrappolate nel tumore, permettendo una esposizione prolungata alla radioattività che penetra nei tessuti per non più di un centimetro. In questo modo il resto del fegato e gli organi vicini non sono esposti, si riducono gli effetti collaterali e si possono raggiungere dosi più alte e più efficaci di radiazioni”.
Maurizio Menicucci – Giornalista scientifico