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12/11/2024

Nuove speranze per la cura del cancro: il ruolo dei microRNA spiegato dagli esperti

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Professoressa Silvia Giordano

Professoressa Silvia Giordano

I microRNA: interruttori genetici e bersagli terapeutici nella nuova frontiera del cancro

Il Nobel 2024 per la medicina agli statunitensi Victor Ambros e Gary Ruvkun, per la scoperta dei microRna (in sigla, miRna) e degli innumerevoli ruoli  che queste brevissime sequenze di nucleotidi svolgono con lo spegnere, o accendere, i geni, è un riconoscimento anche per l’Istituto di Candiolo – IRCCS, che da tempo, grazie alle offerte e ai lasciti di migliaia donatori alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, punta su queste ricerche per bloccare sempre più a monte i meccanismi responsabili dei tumori.  

I miRna, di fatti, non si limitano ad agire solo per il bene dell’organismo. Spesso entrano anche in gioco nel favorire diverse patologie, tra le quali numerosi tipi di cancro. Riuscire a comprendere il meccanismo di queste attivazioni, e il tipo di miRna coinvolto, promette nuove soluzioni alla cura del cancro

Tra l’altro molto più efficaci e definitive di quelle attuali, perché capaci di andare all’origine del percorso di sviluppo delle neoplasie

A prenderci per mano nel tortuoso mondo dei miRna, è la professoressa Silvia Giordano, la cui gentilezza avvertiamo una vena di certa apprensione nei nostri confronti perché i concetti scientifici non risultino banalizzati, o viceversa, non risultino indecifrabili. Il che suggerisce di lasciare a lei la responsabilità di avviare il discorso… 

Sì, il lavoro dei microRna potrebbe sembrare piuttosto semplice: operano come interruttori genetici sulle altre molecole di Rna. Eppure, osservandoli sempre meglio, ci stiamo accorgendo che agiscono su un numero enorme di attività. Cominciamo subito col dire – poi approfondiremo – che possono essere implicati nell’evoluzione dei tumori sia perché mancano, sia perché vengono prodotti in eccesso. In entrambi i casi, possono determinare un’espressione anomala di un grande numero di geni e quindi delle proteine, quindi della produzione delle proteine presenti all’interno della cellula. Allora, quel che noi oncologi dobbiamo cercare di capire è, anzitutto, se nella cellula tumorale un certo microRna è espresso troppo, o troppo poco, e se riusciamo a regolarne l’espressione, riportandola entro i valori della norma. 

È verissimo, appunto perché sembrano in grado di aprire un ventaglio sempre più ampio di cure. Fondamentalmente, possono essere il bersaglio di una terapia, ma possiamo anche usarli direttamente come farmaci per regolare l’espressione dei geni a cui siamo interessati. 

Chiedere a un ricercatore se parla di qualcosa che è già utile ai pazienti, a Candiolo, è considerata una plateale impertinenza, perché la rapidità nel portare subito alla clinica, cioè di tradurre in terapia, i risultati delle attività di laboratorio – la cosiddetta traslazionalità – è uno dei punti di forza del centro torinese. La domanda incauta la facciamo lo stesso, contando sull’immunità professionale. Professoressa Giordano, sta guardando nella sfera? 

Certamente no. I miRna come farmaci sono già usati in alcune patologie oculari e sono in sperimentazione su in alcuni tumori, come quello al polmone, che anche noi stiamo seguendo, qui a Candiolo.  

Si tratta di micro RNA sintetici? 

Diciamo, ‘ritoccati’, per dotarli dell’incapacità di modo tale da permettere una lunga durata molto più a lungo dentro all’interno dell’organismo. Piccole modifiche chimiche apportate alle loro molecole, rendono questi miRna molto più resistenti ai meccanismi destinati a distruggerli. 

In generale, ogni gruppo ne indaga le relazioni con tumori diversi. Quando si studiano i tumori, si fa subito una sorta di foto di ciò che viene espresso all’interno delle sue cellule. Questo identikit riguarda sia i geni tradizionali, sia i miRna. A seconda del tumore, valutiamo quali miRna sono espressi in modo deregolato e come questo contribuisce a formare e far progredire il tumore. 

Lavorate sulle cellule dei tumori primari,  o su quelle metastatiche, responsabili delle recidive? 

Ci stiamo focalizzando sulle recidive, perché quasi sempre sono più resistenti alle terapie tumorali. Uno dei modi con cui le si può colpire è proprio identificare i microRna alterati al loro interno. 

È corretto definire la recidiva come un tumore che ha imparato la lezione? 

Sì, è un tumore che è riuscito a scappare, a mimetizzarsi, e non risponde più ai normali meccanismi d’azione dei farmaci. 

Quali sono i vostri obiettivi immediati? 

Il mio gruppo si concentra sul tumore dello stomaco, altri gruppi sul tumori del colon e del sangue. 

Con quali risultati? 

Abbiamo individuato una serie di microRna che promuovono, appunto, la capacità invasiva delle cellule neoplastiche: in altre parole, fanno sì che queste cellule si stacchino dalla massa originale e vadano in giro per l’organismo, formando metastasi. Ora stiamo cercando di inibirle, di bloccarle. 

Sì, non lo è per nulla. Il problema non è tanto l’efficacia, cioè la qualità dell’agente terapeutico con cui raggiungiamo la cellula bersaglio, ma la quantità complessiva: se dobbiamo ridurre un certo miRna per ottenere un determinato effetto, dobbiamo poterlo ridurre nella stessa misura in tutte le cellule del tumore, quindi trovare il modo arrivarci, disegnando, appunto, dei microRNA modificati per essere più stabili.


Fino a pochi anni fa, la ricerca in genomica si basava sul DNA. Da allora gli RNA sono stati rivalutati e adesso rappresentano un campo sempre più vasto di studio e di potenziali applicazioni. A base di Rna, ad esempio, sono i vaccini contro il Covid e quelli con i quali si spera che potremo rispondere ai prossimi e probabili ‘spill over’, i salti improvvisi di virus patogeni da altre specie alla nostra. A differenza di questi, però il miRna è un tipo di Rna cosiddetto ‘non coding’, non codificante, perché non entra nel processo di trascrizione delle proteine. Ce ne sono altri, così? 

Ce n’è tutta una famiglia in rapida espansione. I più studiati, dopo i miRna, sono i ‘long non coding’ Rna. Molto più lunghi dei miRrna, e funzionanti in maniera diversa, ma anche questi sono implicati nei processi di differenziazione e trasformazione dei tumori.

Fino a pochi anni fa, queste molecole non si sapeva a che cosa servissero. Venivano chiamate genoma oscuro, in analogia con la massa e l’energia oscure dell’astrofisica, o addirittura genoma spazzatura, supponendo che fossero un retaggio, ormai inutile, dell’evoluzione. Siamo stati presuntuosi?

Sì, tendiamo a dimenticare che la natura non fa nulla che non serva. Quando i miRna sono stati scoperti, a partire dal primo, quello trovato da Ambros e Ruvkun nel 1993, si pensava che fossero uno scherzo di natura, molecole con un significato non particolarmente importante. Poi, ci siamo resi conto che sono addirittura responsabili dei processi di differenziazione delle cellule a partire da quelle embrionali, quindi sono assolutamente essenziali per la vita. Tutto il resto del genoma umano è noto dal punto di vista chimico, ma in gran parte ancora non sappiamo che cosa significhi. Ma sicuramente uno dei principali obiettivi a cui della ricerca medica sarà far luce sulle funzioni di tutto questo nostro, così ampio, corredo genetico.

Foto del giornalista scientifico Maurizio Menicucci