Il pancreas esocrino, cioè quella parte dell’organo che secerne gli enzimi digestivi, può sviluppare un tumore molto aggressivo: l’adenocarcinoma. In Italia ha un’incidenza di circa 13.000 nuovi casi all’anno ed è in aumento a causa di fattori ambientali e stili di vita poco salubri, anche se in un 5-10% dei pazienti ha una componente familiare.
La diagnosi precoce è cruciale ma difficile perché i suoi sintomi all’inizio sono spesso ambigui e perfino assenti, diventano chiari solo allo stadio avanzato. Per contrastarlo con più efficacia, il Ministero della Salute ha sollecitato le Regioni ad adottare Pancreas Unit, centri specialistici dove i pazienti possano ricevere un’assistenza diagnostica, chirurgica e farmacologica completa e aggiornata.
Vediamo come e perché Candiolo offre competenze professionali e tecnologie per una Pancreas Unit di alto livello.
“Da anni noi abbiamo un gruppo interdisciplinare di cura che è formato da un’ampia gamma di specialisti, quindi tutti i bisogni dei pazienti che si possono manifestare a livello clinico ma anche nutrizionale e psicologico nel corso della malattia sono monitorati dalla nostra équipe.”
Per quanto riguarda le altre eccellenze più prettamente cliniche, malgrado il tumore del pancreas solo nel 20% dei casi risulti operabile, la chirurgia oncologica ha un’expertise in fatto di resezioni pancreatiche di centinaia di casi.
Alcuni di questi casi possono essere affrontati con la piattaforma robotica, top di gamma per quanto riguarda la chirurgia meno invasiva, che consente interventi chirurgici con un’incidenza di complicanze minore rispetto alla chirurgia tradizionale, con la possibilità di dimissioni precoci per i pazienti e di ritorno precoce alla famiglia e alla vita socio-lavorativa.
Per quanto riguarda l’oncologia medica, la terapia medica nell’ambito del tumore del pancreas caratterizza tutte le fasi di malattia. Anche in fase preoperatoria i farmaci sono importanti nei tumori localmente avanzati, tumori che hanno invaso in qualche modo la zona circostante al loro luogo di crescita, però non hanno ancora metastatizzato a distanza.
In questi casi la chemioterapia neoadiuvante può riuscire a ridurre le dimensioni del tumore e quindi a rendere più agevole l’intervento chirurgico di rimozione, spesso in collaborazione con la radioterapia.
Anche nei casi inoperabili la chemioterapia è importante, specialmente da quando, e sono passati pochi mesi, è utilizzabile un farmaco che è l’irinotecano liposomale pegilato, che è un chemioterapico veicolato da nanoparticelle lipidiche – quindi parliamo anche di nanotecnologie – che hanno una particolare affinità per il tessuto neoplastico e quindi riescono a proiettare il farmaco all’interno della compagine tumorale.
Se le analisi istopatologiche mettono in evidenza un legame tra adenocarcinoma e alterazioni genetiche, si ricorre alla cosiddetta target therapy per cercare di colpirle direttamente. Quindi non una terapia trasversale, ma mirata al singolo paziente, al singolo caso.
Per diagnosticare e valutare un adenocarcinoma è fondamentale l’ecoendoscopia, uno strumento simile a un gastroscopio che sulla punta contiene un ecografo miniaturizzato.
“Noi possiamo arrivare con le sonde nei pressi del pancreas e quindi esaminarlo in maniera estremamente circostanziata, tanto è vero che riusciamo a individuare anche lesioni di minime dimensioni ed anche a caratterizzarle istologicamente.”
A Candiolo si pratica la radioterapia stereotassica che permette di erogare alte dosi di fasci radianti in un numero limitato di sedute. Questo naturalmente rende il trattamento più agevole per il paziente, ma anche più utile per l’organizzazione sanitaria in quanto consente un turnover di pazienti più elevato.
Purtroppo i tumori del pancreas, proprio in ragione della loro gravità clinica, necessitano spesso di cure palliative. Che cosa si fa nel merito qui a Candiolo?
“A Candiolo si fa già tanto. Faremo ancora di più a partire dal 1° ottobre 2025, data in cui attiveremo un nuovo servizio di cure palliative e terapia antalgica. La mission è garantire la miglior qualità di vita possibile ai pazienti che non rispondono più alle terapie attive.”
Il tumore del pancreas esocrino è molto difficile da curare con i farmaci e questo per due ragioni fondamentali.
La prima è che le sue cellule presentano solo mutazioni funzionali di tipo epigenetico, cioè senza variazioni chimiche del loro DNA e quindi non offrono un bersaglio alle terapie farmacologiche.
La seconda è la resistenza opposta dal complesso di cellule immunitarie, vasi sanguigni e fibroblasti che circonda e alimenta il tumore. Questo tessuto attiva le anomalie delle cellule neoplastiche e ne è a sua volta influenzato, così che invece di concorrere, come dovrebbe, ai meccanismi di difesa immunitaria, li combatte e favorisce il cancro intorno al quale forma inoltre un vero e proprio muro.
“È un ambiente che ha una cosiddetta, in inglese si dice stiffness, quindi è duro. Questa durezza impedisce in qualche modo, semplificando il tutto, al farmaco di entrare all’interno e di agire sulle cellule tumorali.”
La ricerca oncologica anche a Candiolo si sta concentrando sulle possibilità di penetrare questa barriera o di modificare le sue interazioni con le cellule cancerose.
Ad esempio: modulando l’attività dei fibroblasti che la producono, favorire la vascolarizzazione del tumore e quindi di conseguenza anche l’entrata del farmaco è uno degli studi che venne fatto dal gruppo del professor Bussolino, lavorando su proteine specifiche e dei marcatori particolari che possono appunto avere quest’azione di modulazione.
Altri studi puntano ad addomesticare le semaforine, proteine che, come dice il nome, negano l’accesso delle altre molecole all’interno del microambiente tumorale. Possono essere modulate e targettate in modo tale che perdano questa loro attività di blocco dell’arrivo o della funzionalità del farmaco stesso.
Le speranze maggiori contro l’adenocarcinoma pancreatico sono affidate all’immunoterapia. Si tratta di prelevare dal paziente un tipo di cellule immunitarie naturali, i linfociti T, modificarle geneticamente in superlinfociti, le cosiddette CAR-T, e reinfonderle nello stesso paziente.
“Quindi non è più il farmaco, ma è la cellula stessa che si arma e va a uccidere il tumore.”
Come tutti i supereroi però le CAR-T sono muscolose ma hanno un’intelligenza mediocre e finiscono per colpire anche le cellule sane, a meno di non aiutarle a individuare solo quelle neoplastiche, e in particolare le staminali, che vanno facilmente in circolo e sono le più trasformiste e resistenti ai farmaci, tra quelle capaci di dare metastasi.
A Candiolo si lavora su una strada molto promettente.
“Il professor Christopher Heeschen è riuscito attraverso la donazione del sangue da parte dei nostri pazienti che avevano una malattia avanzata a isolare queste cellule, a definire qual era la proteina che le caratterizzava e a costruire dei modelli di ingegnerizzazione dei linfociti del paziente che sono in grado di riconoscere la cellula che ha quella proteina che è quella che poi permette al tumore di sopravvivere.”
Visto che c’è di mezzo il muro del microambiente, le CAR-T vengono ingegnerizzate per dotarle anche di una sorta di ariete molecolare. Sono le interleuchine che danno ancora una maggiore capacità di azione a questi linfociti.
In conclusione, il carcinoma del pancreas richiede alla ricerca approcci alternativi e alla tecnologia nuovi strumenti di indagine.
“Lo studio si è spostato dal bersaglio cellula di cancro allo studio del microambiente intorno, perché sappiamo che la cellula del cancro di per sé non ha bersagli molecolari.”
A Candiolo la ricerca dispone di una piattaforma di analisi genomica a cellula singola. In che cosa consiste e a quali risultati porta?
“Questo sistema è nato per lo studio della popolazione tumorale. Le cellule del tumore sono diverse le une dalle altre. È importante sapere quanto sono diverse, quanto sono in grado di mettersi insieme studiando il DNA, l’RNA e le caratteristiche. Quindi non è solo più un’analisi al microscopio dove dico queste si assomigliano tutte. È proprio un’analisi del genoma di queste cellule che ci permette di valutare quanto un tumore è eterogeneo. Più il tumore è eterogeneo, più è complesso da trattare.”