Maurizio Menicucci: Anche un Istituto dedicato alla ricerca delle cause e alla cura dei tumori, quindi con un alto livello di specializzazione, ha bisogno di una medicina interna, cioè di un reparto che disponga di un ampio ventaglio di competenze mediche. Qui siamo appunto nella Nuova Medicina Interna di Candiolo, aperta da poco grazie alla generosità di migliaia di persone che hanno affidato le loro donazioni alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Il reparto è diretto dal professor Alberto Milan, che è docente di Scienze Mediche all’Università di Torino. Professor Milan, a chi è destinata questa struttura, e in che cosa è diversa da quella di un normale ospedale?
Professor Alberto Milan: Il nostro reparto di medicina interna è rivolto a pazienti oncologici con una complicanza acuta internista. In altre parole, non si tratta di un reparto di oncologia, ma di un reparto che accoglie pazienti che hanno una malattia acuta, una polmonite, uno scompenso cardiaco che abbiano anche la patologia oncologica e che di conseguenza siano più fragili, più particolari da poter essere gestiti.
Maurizio Menicucci: In che modo si integra con i reparti specialistici di Candiolo?
Professor Alberto Milan: Noi abbiamo dei reparti specialistici di altissimo livello, di conseguenza loro hanno delle mission ben particolari. E che quindi possono continuare senza doversi prendere cura, mi perdoni il termine, sgradevole di pazienti che invece magari hanno una complicanza che gli impedisce di proseguire queste cure molto specifiche e particolari.
Maurizio Menicucci: Ci può descrivere dotazioni e capacità di questo reparto?
Professor Alberto Milan: Il nostro reparto è formato da medici e infermieri che si occupano di venti pazienti ricoverati, i quali vengono assistiti con delle tecnologie che sono in continuo miglioramento e che in questo momento si servono di ventilazione non invasiva, ventilazione con anti flussi, un imaging cardiovascolare, al letto del paziente con un’ecografia che auspichiamo di ottimo livello è una valutazione ecografica cardiovascolare che auspichiamo sempre sia all’altezza dell’Istituto.
Maurizio Menicucci: I vostri pazienti spesso sono in condizioni difficili anche dal punto di vista emotivo. Come trattate queste criticità psicologiche?
Professor Alberto Milan: Crediamo molto nella comunicazione con il paziente, quindi tutti quanti, sia medici e infermieri, cercano di avere la massima attenzione nel migliorare la propria comunicazione con il paziente. Ci facciamo aiutare regolarmente dagli psicologi che sono in servizio presso l’Istituto e poi abbiamo la fortuna, come reparto universitario, di avere anche una dottoranda di ricerca che è una psicologa, che quindi ci aiuta ulteriormente in queste situazioni che sono sicuramente difficili sia per il personale medico infermieristico ma soprattutto per il paziente.
Maurizio Menicucci: Questo in ogni caso è un reparto universitario. Che cosa comporta questo aspetto?
Professor Alberto Milan: Ha il vantaggio indubbio di essere all’interno di una rete, di una rete formativa grande, quella dell’Università di Torino, che ci consente quindi di rimanere ad alto livello sia dal punto di vista formativo e scientifico, sia la possibilità di accogliere studenti e specializzandi che quindi possono venire qui a formarsi, nella particolarità di questo Istituto, di questo reparto.
Maurizio Menicucci: Con le urgenze cui dovete far fronte, che spazio ha la ricerca?
Professor Alberto Milan: La ricerca che facciamo noi non è la ricerca che viene fatta dai ricercatori veri. Noi facciamo un’attività di ricerca clinica, però abbiamo l’orgoglio di pensare che la ricerca clinica ci consenta di ottenere una eccellenza dal punto di vista dell’assistenza del malato. Quindi la ricerca noi la vediamo assolutamente come un’integrazione di quella che è l’attività clinica che facciamo regolarmente per poter erogare una clinica di alto livello.
Maurizio Menicucci: Le attività di questo reparto sono già a regime o prevedete di ampliarle?
Professor Alberto Milan: Noi speriamo di ampliarle con il supporto di questo Istituto in termini sia di numerosità di letti sia di personale. Al fine di riuscire a migliorare l’assistenza nei confronti dei nostri malati.
Maurizio Menicucci: La ricerca mette in campo strumenti sempre più efficaci per curare i tumori, ma da tempo una parte del mondo scientifico reclama la necessità di considerare, tra i tanti elementi che possono favorire direttamente l’insorgere, il progredire e anche il guarire dal cancro non solo gli elementi somatici, ma anche quelli psicologici. Lei è d’accordo, Dottor Fenu?
Dottor Piero Fenu: Diciamo che non ci sono evidenze scientifiche, non è dimostrato che i disturbi psico emotivi, i disturbi dell’umore possano causare direttamente dei deficit, delle difese immunitarie o dei disturbi del sistema endocrino, o attivare altri meccanismi biochimici che a loro volta possano determinare la cancerogenesi, cioè la trasformazione della cellula da sana a tumorale.
Maurizio Menicucci: Quindi possiamo liquidare la questione psicologica e anche la definizione psicosomatica della malattia?
Dottor Piero Fenu: No, direi che con ragionevole certezza possiamo dire che c’è una relazione indiretta negli ammalati di cancro, dove per la percezione e per la consapevolezza di malattia è molto frequente l’insorgere di sindromi depressive o depressivo ansiose, il paziente può essere meno diligente nell’effettuare le visite di controllo, le visite di follow up, nell’adottare stili di vita salubri, nel seguire puntualmente le strategie terapeutiche proposte e quindi questo può causare un peggioramento della prognosi e vari studi lo stanno a testimoniare.
Maurizio Menicucci: Che cosa si fa qui a Candiolo per aiutare questi pazienti sotto il profilo psicologico?
Dottor Piero Fenu: Innanzitutto il paziente, quando viene preso in carico, ha la possibilità immediata di consultare uno psicologo che, nel caso si manifestino poi disagi psico emotivi, può seguire il paziente in tutto il percorso di cura, così come avviene dal punto di vista clinico oncologico, stretto. Poi abbiamo un’assistenza psicologica per le famiglie in stato di disagio dovuto alla malattia. Poi abbiamo uno psicologo dedicato all’hospice. Sappiamo che l’hospice è quel settore in cui sono ricoverati i pazienti che non rispondono più alle terapie attive. Quindi in uno stato diciamo, di disagio emotivo estremo. Poi abbiamo istituito anche uno sportello psicologico per i caregiver, colui che assiste familiari o amici che sono tecnicamente e psicologicamente impreparati ad un ruolo che comporta una partecipazione emotiva ed una assunzione di responsabilità, che a loro volta possono causare depressione, ansia, sconforto, senso di colpa, sensazione di non essere all’altezza del ruolo. Quindi i nostri psicologi sono a loro disposizione, educandoli alla resilienza mentale, insegnando loro tecniche di rilassamento, di gestione dello stress.
Maurizio Menicucci: E la pet therapy?
Dottor Piero Fenu: Sappiamo che gli animali da compagnia, i cani in particolare, hanno questa capacità di trasmetterci una sorta di serenità mentale. Ora vorremmo anche iniziare un progetto di cat therapy perché ci sono alcuni studi che hanno individuato anche il gatto come fattore animale in grado di interagire favorevolmente con l’uomo. Se tutto va bene, nel giro di un paio di mesi avremo anche la cat therapy a Candiolo.
Maurizio Menicucci: E lo sport?
Dottor Piero Fenu: Abbiamo iniziato un corso di Pilates per i pazienti che ne vogliano usufruire. C’è stata una un’adesione importante, tanto è vero che ci saranno altre sedute. Ma non saranno le diciamo le uniche strategie di rilassamento e gestione dello stress che proporremo ai nostri pazienti, perché abbiamo in programma anche dei corsi di trucco, di cucito, di lettura, di recitazione; nonché un corso di mindfulness che è una pratica meditativa basata sulla concentrazione, sul presente, quindi qualcosa che secondo la letteratura è assolutamente efficace e vedremo di verificarla sui nostri pazienti.
Maurizio Menicucci: La chirurgia oncologica, in particolare in urologia, offre terapie sempre più personalizzate, cioè mirate alle caratteristiche specifiche del tumore e del paziente, grazie alla continua evoluzione delle tecnologie. Il grande salto di qualità è cominciato vent’anni fa con la robotica che ha permesso una visione più ampia e insieme più dettagliata del campo operatorio. Dottor Checucci, che cosa significano queste capacità per chi sta sul lettino e per il chirurgo?
Dottor Enrico Checcucci: Si è rapidamente passati dal paradigma del grande chirurgo grande taglio alla cosiddetta chirurgia del buco di serratura, cioè la possibilità di accedere alla cavità addominale tramite piccole incisioni. Questa è stata l’era della laparoscopia. Pochi anni dopo è stata introdotta una piattaforma robotica che ha consentito di andare ulteriormente a massimizzare le capacità del chirurgo all’interno della sala operatoria. Si tratta della tecnologia che è intrinseca nella piattaforma robotica stessa, quale la possibilità di avere un’ottima visualizzazione dell’anatomia del paziente grazie a una telecamera ad alta definizione con una visione stereoscopica, così come la possibilità di manipolazione dei bracci del robot, molto accurata e molto fine che viene consentita dal robot stesso. Addirittura il tremore fisiologico del chirurgo viene pesantemente ridotto dal macchinario, consentendo gesti chirurgici molto, molto più precisi.
Maurizio Menicucci: Uno dei grandi benefici della robotica è anche di essere meno invasiva rispetto alle operazioni tradizionali.
Dottor Enrico Checcucci: Assolutamente sì. L’intera procedura viene condotta tramite piccole incisioni. Questo facilita sia una ripresa più rapida del paziente nel post operatorio e poi si porta dietro anche degli indubbi vantaggi estetici.
Maurizio Menicucci: Quanti gradi di movimento ha l’arto robotico rispetto a quello umano?
Dottor Enrico Checcucci: Consente di avere fino a otto gradi di libertà, che sono sostanzialmente i movimenti che sono concessi dal polso del chirurgo. Quindi il chirurgo è in grado di roteare gli strumenti operatori così come muove le sue stesse mani.
Maurizio Menicucci: Lavorare sempre più sulle immagini porta al vero e proprio paziente virtuale operato da un chirurgo virtuale in una sala non meno virtuale. A un certo punto ci troviamo immersi in quello che si definisce metaverso il doppio, non reale, ma nemmeno falso, del mondo vero. Questo scenario abbinato all’intelligenza artificiale generativa, quindi, se proprio non vogliamo dire creativa, sempre più autonoma nell’uso progettuale dell’esperienza, apre un ventaglio enorme di possibilità per intervenire sul cancro.
Dottor Enrico Checcucci: Sono stati sviluppati diversi elementi, diciamo virtuali, che oggi possono essere utilizzati all’interno della piattaforma robotica. Tra questi abbiamo i modelli tridimensionali dell’anatomia del paziente che vengono realizzati partendo dalle immagini TAC, risonanza preoperatoria che consentono al chirurgo una pianificazione molto accurata dell’intervento chirurgico stesso, ma così come possono essere utilizzati anche all’interno della sala operatoria all’interno della consolle robotica per guidare le manovre chirurgiche in tempo reale, quindi durante l’intervento stesso. Tutto questo si va ad associare anche allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che ha ulteriormente implementato la qualità dei modelli. Oggi si può parlare di gemello digitale, di digital twin e parallelamente anche lo sviluppo dei sistemi di visione della realtà virtuale, così come lo sviluppo delle reti di connettività ad alta portata quale il 5G, ci permette oggi di ricreare un ambiente operatorio totalmente virtuale, dove un chirurgo virtuale, un avatar del chirurgo, si può trovare all’interno di questa stanza virtuale e andare a discutere o con altri chirurghi o con il paziente del caso clinico che deve andare ad affrontare. Questo permette una condivisione della conoscenza sia tra chirurghi di diversa esperienza, ma anche dei pazienti che possono afferire a un consulto di un chirurgo anche se fisicamente non si trovano nella stessa città.
Maurizio Menicucci: Qualcuno ritiene eccessiva la nostra fiducia nella tecnologia. Sostiene che non potrà mai sostituire l’uomo e che potrebbe commettere errori diversi ma non meno gravi di quelli umani.
Dottor Enrico Checcucci: Si tratta di un problema di sfiducia verso la tecnologia, tecnologia che però non deve essere fornita al chirurgo come un prodotto finito che è quasi obbligato ad utilizzare, ma è una tecnologia che deve essere sviluppata anche insieme al chirurgo. Quindi l’ingegnere, il softwerista devono collaborare col chirurgo anche nella fase di sviluppo della tecnologia e questo sviluppo condiviso certamente porterà ad un miglior utilizzo della tecnologia stessa per il bene del paziente. Dal punto di vista chirurgico, l’introduzione dell’intelligenza artificiale, inizialmente, già attualmente, può essere utilizzata per la gestione dei cosiddetti big data, quindi la gestione delle liste di attesa, così come la gestione della terapia post chirurgica e del del follow up del paziente che è stato operato in un secondo momento. Tutta questa tecnologia potrà essere traslata anche in sala operatoria, dove l’intelligenza artificiale aiuterà il chirurgo non andrà a sostituirlo, ma lo aiuterà a compiere degli interventi che oggi risultano essere molto complessi, ma con un aiuto tecnologico possono diventare un pochettino più semplice.
Maurizio Menicucci: Quindi al centro ci dovrà sempre essere l’uomo come chirurgo e come paziente?
Dottor Enrico Checcucci: Assolutamente sì. Tutta questa tecnologia potrà essere di aiuto per andare a migliorare la performance chirurgica, senza sottrarre poi ciò che ne deriva dal rapporto interpersonale del medico con il paziente.
Maurizio Menicucci: È il quinto tumore più diffuso al mondo e il terzo come mortalità. Parliamo del tumore gastrico, sul quale lavorano da diversi anni i giovani ricercatori del Laboratorio di Biologia Molecolare dell’Istituto di Candiolo – IRCCS, guidato dalla professoressa Silvia Giordano. Il gruppo realizza modelli che riproducono in modo sempre più preciso, complesso e realistico, le caratteristiche del cancro allo stomaco così come si osservano nel paziente. Di che modelli si tratta e come li avete ottenuti?
Professoressa Silvia Giordano: Preleviamo le cellule del tumore e le cresciamo in vitro o come colture cellulari, oppure come quelle strutture che si chiamano organoidi e che sono capaci di riprodurre in vitro quella che è la struttura del tessuto ottenuto dal tumore.
Maurizio Menicucci: L’insieme di questi modelli che avete ottenuto qui a Candiolo è probabilmente il più grande del mondo. Qual è di preciso il loro scopo?
Professoressa Silvia Giordano: Ogni singolo tumore è diverso dagli altri in termini molecolari e quindi se noi vogliamo fare degli studi che siano rappresentativi della popolazione, abbiamo bisogno di tanti diversi modelli.
Maurizio Menicucci: Questa strada vi ha portato a individuare terapie nuove o a migliorarne qualcuna già nota?
Professoressa Silvia Giordano: Assolutamente sì. Per esempio c’è una Terapia che va diretta contro una molecola che si chiama HER2, che è stata la prima approvata nel carcinoma gastrico ma che non è da un punto di vista pratico estremamente efficace. Abbiamo ottimizzato l’approccio terapeutico. Poi abbiamo individuato un nuovo bersaglio, che è una molecola che si chiama EGFR, verso il quale esistono dei farmaci che sono già in uso per altri tumori.
Maurizio Menicucci: Che percentuale di pazienti presenta questa alterazione molecolare?
Professoressa Silvia Giordano: È una percentuale relativamente piccola attorno al 6/7%. Però sono pazienti che spesso non hanno alternative. Quindi lo scopo è proprio quello di individuare delle piccole fettine tra tutti i pazienti e di definire quella che è la terapia ottimale per ciascuna di essi.
Maurizio Menicucci: Questo vuol dire che si va verso delle terapie personalizzate?
Professoressa Silvia Giordano: Assolutamente. È il significato della medicina di precisione.
Maurizio Menicucci: Quali sono questi farmaci?
Professoressa Silvia Giordano: Sono gli anticorpi monoclonali, in particolare uno che è il Cetuximab che viene utilizzato ormai da tantissimi anni, per esempio nella terapia del tumore del colon.
Maurizio Menicucci: Sappiamo che con i vostri studi avete ottenuto un risultato molto brillante, tanto che ancora una volta è stato pubblicato da una prestigiosa rivista americana, il Cancer Research. Che cos’è?
Professoressa Silvia Giordano: Abbiamo individuato i meccanismi di riparo del DNA come un possibile bersaglio terapeutico, perché ci sono dei farmaci che quando vengono dati sostanzialmente disgregano completamente la capacità del tumore di riparare il DNA e quindi inducono le cellule tumorali a suicidarsi.
Maurizio Menicucci: Anche questa volta però possiamo dire che gli inibitori che voi avete usato non funzionano sempre.
Professoressa Silvia Giordano: Quello no, però passo dopo passo sicuramente aumenta la percentuale di pazienti che possono essere curati.
Maurizio Menicucci: Come fate a identificare questi pazienti suscettibili di cura?
Professoressa Silvia Giordano: Per forza usando le tecniche di biologia molecolare. Però ormai un sequenziamento di un genoma costa poco più di una TAC. Il problema non è il costo, il problema è la capacità di interpretazione di queste analisi, che non è esattamente alla portata di tutti i centri.
Maurizio Menicucci: Lei guida un team di sole donne. Com’è l’atmosfera?
Professoressa Silvia Giordano: L’ansia e la competitività ci sono sempre, ovviamente. Perché? Soprattutto perché il futuro di un ricercatore è molto nebuloso, non particolarmente florido, e che in Italia comunque non c’è mobilità. Però non è tanto quello che muove chi viene qui a lavorare, è la passione. Questo è l’unico elemento che potrebbe indurre una persona a fare questo lavoro.