Maurizio Menicucci: Nei centri più avanzati nella terapia del tumore, come l’Istituto di Candiolo, il 70% degli interventi sul polmone è mini invasivo comporta cioè tagli molto ridotti rispetto alla chirurgia tradizionale per il paziente e questo si traduce in meno traumi, meno complicazioni, degenza media più che dimezzata, ripresa più rapida e alla fine in una maggiore efficacia dell’intero percorso di cura.
L’approccio mini invasivo si basa sulla procedura VATS, che vuol dire chirurgia toracica assistita. Vediamo in che consiste. Con Andrea Droghetti, direttore della Chirurgia toracica di Candiolo e pioniere di queste tecniche innovative.
Dottor Andrea Droghetti: Queste tecniche VATS, cioè video assistite o tecniche RATS, robotico assistite, permettono di asportare tumori polmonari attraverso solo piccoli fori. A differenza della chirurgia tradizionale che doveva fare un lungo taglio del torace per poter far operare il chirurgo con le mani dentro al torace, adesso si opera tutto da fuori, guardando una telecamera o un monitor con immagini 4K full HD.
Maurizio Menicucci: Ovviamente deve essere presa molto in tempo, deve essere ancora di piccole dimensioni.
Dottor Andrea Droghetti: Oggi ormai abbiamo messo insieme delle particolari tecniche chirurgiche e in questo la tecnologia ci dà un grosso supporto per portare via grossi tumori e anche tumori avanzati, anche dopo terapie mediche che ce l’hanno un po’ ridotto.
Maurizio Menicucci: Droghetti è tra i fondatori del VATS Group che riunisce gli specialisti di questo protocollo chirurgico e del registro VATS che raccoglie i dati dei maggiori centri dove viene praticato. È una storia recente.
Dottor Andrea Droghetti: Nel 2005 abbiamo iniziato questo percorso, ma eravamo veramente pochi. Nel 2015 ancora solo il 10% degli interventi di chirurgia polmonare maggiore viene eseguito con tecnica meno invasiva. 2015, otto anni fa. Insieme ad altri colleghi abbiamo pensato di creare questo grosso registro.
Il nostro intento era quello di dimostrare che la tecnica mininvasiva era uguale almeno alla tecnica tradizionale come risultati. Siamo riusciti, e questo è stato un grosso successo, a dimostrare invece che la tecnica mininvasiva ha dei risultati oncologici addirittura migliori della tecnica tradizionale.
Incide su tanti fattori, uno dei quali importante, che è nozione di tutti ormai il fatto che deprime meno il sistema immunitario. Deprimere meno il sistema immunitario vuol dire avere migliori risultati a distanza della cura del tumore.
Maurizio Menicucci: I trattamenti precoci e multimodali sono la premessa indispensabile per questo approccio meno invasivo. Vogliamo approfondire questo aspetto?
Dottor Andrea Droghetti: Sì, la terapia multimodale ormai è una cosa dovuta al paziente. Attaccare il tumore su tanti fronti diversi riesce a dare un migliore risultato. In che modo? La terapia medica prima della chirurgia rende la chirurgia più mirata e più radicale. Che vuol dire che ha un minore, diciamo, ritorno di malattia a distanza nel tempo e soprattutto porta via meno parenchima polmonare sano.
Questo vuol dire preservare quanto più possibile la capacità di respirare dei nostri pazienti nel post operatorio. Inoltre, la multimodalità ci permette di rendere operabili un numero sempre maggiore di pazienti che prima non lo erano.
Maurizio Menicucci: Dottor Dorghetti, lei è appena arrivato a Candiolo dopo aver operato e fatto ricerca per anni allo Sloan Catering Cancer Center di New York e poi a Mantova. Come mai?
Dottor Andrea Droghetti: Be’, Candiolo offre talmente tante professionalità di elevatissimo livello nel percorso di cura del polmone: l’oncologia, la anatomia patologica, la radioterapia, la radiologia e la medicina nucleare. C’è un servizio di anestesia che ci permette di lavorare in sicurezza anche per interventi molto avanzati.
Maurizio Menicucci: ERAS, Enhanced Recovery After Surgery è un protocollo internazionale studiato per potenziare i risultati dell’intero periodo di ricovero del paziente. Droghettiti ne è il referente per la Società Italiana di Chirurgia Toracica.
Dottor Andrea Droghetti: Per fare un parallelismo con il mondo dello sport e la scienza dei guadagni marginali di cui è stato introduttore maestro Pietro Mennea, e la cura di tanti piccoli particolari nell’allenamento e nella preparazione ad una gara, presi singolarmente non cambiano un processo, ma se lavorano tutti in sinergia portano a migliorare i propri limiti e i propri risultati.
Per il paziente la gara è l’intervento chirurgico. Fare una pre abilitazione che migliora diciamo la preparazione del paziente e riduce le fragilità dello stesso vuol dire ottenere migliori risultati oncologici e di ripresa dall’intervento chirurgico.
Maurizio Menicucci: Il cancro si definisce anche neoplasia e questo termine indica proprio che una sorta di corpo estraneo si forma all’interno e a spese del nostro.
Per farlo non usa solo il nostro sistema vascolare, ma forma anche nuovi vasi sanguigni, che sono diversi da quelli normali. Le cellule delle loro pareti, dette endoteliali, sono meno a contatto ed è proprio questa scarsa aderenza a permettere alle cellule del cancro di infiltrarsi ed entrare nel circolo sanguigno del nostro corpo e disseminarsi formando metastasi.
Questa alterata permeabilità dei vasi tumorali ha anche un altro effetto: ostacola i farmaci che devono colpire il cancro. L’obiettivo degli specialisti, dunque, è riportare i vasi sanguigni che rivestono il tumore, alla normalità, sia per metterlo in difficoltà sia per fare in modo che le terapie vadano a bersaglio con più efficacia.
Il laboratorio di Candiolo che studia le dinamiche dell’adesione cellulare, ha messo in luce il ruolo importante di una particolare proteina sulla permeabilità dei vasi sanguigni.
Professor Guido Serini: Si chiama Mini Wars, ed è una proteina che abbiamo isolato in uno studio che è durato circa cinque anni e ha la capacità di riparare i danni dei vasi sanguigni. Questa riparazione permette l’arrivo, ovviamente, oltre che del sangue, anche delle terapie.
Inoltre, un aspetto importante e la possibilità di accesso che viene garantita alle cellule del sistema immunitario, che sono così in grado di attaccare il tumore. Abbiamo svolto una fase iniziale di ricerca di base dove abbiamo appunto identificato la proteina.
Ora ci stiamo muovendo verso una fase cosiddetta preclinica. Nella fase preclinica la proteina la purificheremo e la testeremo direttamente sulle cellule.
Maurizio Menicucci: Quanti siete a impegnarvi su questo studio, su questa ricerca?
Professor Guido Serini: All’interno del laboratorio ci sono quattro collaboratori, dei quali uno in particolare, totalmente dedicato a questa specifica proteina. Poi vi sono altre altri collaboratori, i quali sono dedicati ad altre proteine che svolgono ruoli simili e che abbiamo in prospettiva di sviluppare nel prossimo futuro.
Maurizio Menicucci: Quindi questa o un’altra proteina diventerà un farmaco, una terapia?
Professor Guido Serini: Questo è quello che noi stiamo facendo, nel senso che stiamo diciamo raccogliendo, identificando e mettendo in prospettiva un gruppo di molecole con l’auspicio finale che almeno una di esse possa arrivare a ottenere il successo che vogliamo.
Maurizio Menicucci: Il traguardo è ambizioso, ma non proprio vicino.
Professor Guido Serini: Dobbiamo avere dei test di tipo pre-clinico che noi svolgiamo purificando la proteina e studiandola sulle cellule in coltura. Successivamente, ci muoveremo verso modelli più vicini all’aspetto terapeutico e questo ci permetterà di decidere a quel punto se questa proteina che abbiamo identificato potrà davvero essere utilizzata, diciamo in prospettiva di terapia sugli esseri umani oppure no. Molto spesso in ricerca ci vogliono tempi di una durata fra i 5 e i 10 anni per poter compiere questo passo definitivo.
Maurizio Menicucci: Il genoma umano, il nostro patrimonio genetico, è conservato in 23 coppie di cromosomi per ogni singola cellula del corpo. Consiste in 3,2 miliardi di basi che contengono circa 20.000 geni tratti sequenze funzionali che sono responsabili per la sintesi di altrettante proteine. Sembra tutto chiaro, ma in realtà non lo è. In anni recenti si è scoperto che quasi tutto il genoma, ben il 98,5%, non corrisponde ad alcuna proteina.
Considerarlo però spazzatura, come si è fatto in un primo tempo è un grande errore, anche perché se così fosse, l’evoluzione lo avrebbe eliminato. Più prudente allora definirlo oscuro. E difatti, a poco a poco stiamo cominciando a far luce sulle sue funzioni. Cominciamo a comprendere, ad esempio, che alcune di queste sequenze di molecole apparentemente inutili svolgono ruoli fondamentali nello sviluppo di numerosi tumori.
Quindi, sarebbe molto importante se riuscissimo a silenziare o viceversa, a potenziare la loro attività. Su questa nuova e promettente frontiera dell’oncologia e impegnato in rete con altri centri internazionali il laboratorio di ricerca traslazionale sull’RNA dell’Istituto di Candiolo. Che cosa sappiamo oggi di queste sequenze genetiche oscure e a quali tumori riusciamo a collegarle?
Dottor Eugenio Morelli: Allora innanzitutto sappiamo quello che non fanno. Queste molecole non sono dei meri messaggeri dell’informazione genetica, dal DNA ai ribosomi per costruire le proteine, ma sono dei principi attivi, sono delle sequenze attive che interagendo con le altre macromolecole nella nostra cellula, quindi il DNA o le proteine possono contribuire a tutte le funzioni essenziali.
Questo vale anche, purtroppo, per le cellule tumorali. Quindi, all’interno delle cellule tumorali queste sequenze di RNA non codificante cooperano con proteine e DNA per supportare la crescita del tumore. Quali tumori? Virtualmente tutti. Ad oggi non è noto nessun tumore nel quale queste molecole non possono contribuire.
Maurizio Menicucci: Perché voi lavorate sull’RNA e non direttamente sul DNA?
Dottor Eugenio Morelli: Allora l’RNA è una delle espressioni del DNA, quindi è una delle chiavi di lettura per capire il DNA e anche il DNA delle cellule tumorali. Storicamente però, rispetto al DNA che viene colpito dai chemioterapici classici o le proteine che possono essere colpite con le cosiddette terapie a bersaglio molecolare, l’RNA non è stato studiato da un punto di vista terapeutico e quindi noi riteniamo che ci sia un potenziale latente che può essere utilizzato per curare meglio i nostri pazienti.
Maurizio Menicucci: Avete già in mente però di concentrarvi su qualche tumore?
Dottor Eugenio Morelli: Il focus del nostro laboratorio è in particolare su un tumore del sangue chiamato mieloma multiplo. Quindi finora abbiamo applicato le nostre metodologie per esplorare e identificare quali di questi RNA essenziale per il mieloma multiplo. Ma abbiamo anche iniziato ad ampliare le nostre ricerche ad altri tipi di tumore, inclusi i tumori solidi, altri tumori ematologici.
Maurizio Menicucci: Si tratta più di potenziare o di silenziare queste molecole di RNA?
Dottor Eugenio Morelli: Si possono sia inibire che potenziare a scopo terapeutico ed entrambi gli approcci sono già entrati in studi clinici su pazienti oncologici.
Maurizio Menicucci: Quando le vostre ricerche porteranno le prime terapie?
Dottor Eugenio Morelli: Allora le prime terapie basate sul colpire questi RNA non codificante sono già arrivate recentemente in fase clinica, con studi clinici di fase uno alle quali anche noi abbiamo dato il nostro contributo cooperando con altri centri. Quello che speriamo è continuando su questa scia e che nei prossimi 5 o 10 anni questo tipo di terapie si moltiplicano per fornire nuove opzioni ai pazienti con tumore.
Maurizio Menicucci: Lei proviene dal prestigioso Dana Cancer Institute di Boston. Che cosa l’ha spinta a ritornare in Italia e venire qui a Candiolo?
Dottor Eugenio Morelli: Allora, il centro di Candiolo è un centro riconosciuto in tutto il mondo, uno dei migliori centri per fare ricerca sul cancro e grazie al sostegno della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, ho avuto l’opportunità di mettere a punto il mio laboratorio e di continuare a fare ricerca sull’RNA mantenendo gli standard che avevo alla Harvard Medical School di Boston. Inoltre, con il vantaggio di essere ritornato a casa.