24/06/2024
Robot Da Vinci Single Port all’Istituto di Candiolo – IRCCS.
Finalmente, e come sempre solo grazie alla fiducia dei sostenitori della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, ‘lui’ è arrivato a Candiolo. E se dare del lui a una macchina può sembrare eccessivo, ebbene, non stiamo parlando di un congegno qualsiasi, ma di Da Vinci SP, l’ultimo e più moderno modello della famiglia di questi straordinari robot chirurghi. ’Noblesse oblige‘, prima di presentarci al suo cospetto, dobbiamo fare anticamera e conoscere alcune cose che lo riguardano.
A spiegarle è il dottor Felice Borghi, direttore del Dipartimento di Chirurgia Oncologica dell’Istituto di Candiolo – IRCCS: “SP sta per Single Port, cioè accesso singolo. Permette di arrivare al punto da operare passando da una sola apertura, artificiale, o naturale. I modelli precedenti di braccia ne hanno quattro e richiedono altrettanti accessi. SP, invece, ha un solo braccio”.
Il dottore non è uno che spreca gesti e parole. E non si può fare a meno di supporre che un po’ sia dovuto all’abitudine a lavorare – lo fa da undici anni – con le piattaforme robotiche, e a dosare ogni movimento delle dita che questi speciali assistenti trasferiscono alle proprie estremità operative dentro il corpo del paziente.
Il braccio di SP ne possiede ben quattro: tre strumenti evoluti, che, rispetto alla mano umana e alle versioni passate, consentono una mobilità molto maggiore anche negli spazi anatomici più piccoli; e un endoscopio super-flessibile e orientabile, che offre al chirurgo la miglior visione del campo operatorio.
Un simile concentrato di tecnologie può incutere una certa riverenza, ma non è poi così complicato da usare. “Per padroneggiare i robot Da Vinci – assicura Borghi – ci vogliono tre o quattro mesi e trenta-quaranta interventi”. Meno della metà di quanti ne richieda la tecnica operatoria di partenza, quella laparoscopica, dove è ancora il chirurgo a muovere direttamente gli strumenti, controllando l’intervento attraverso un endoscopio che porta le immagini sul monitor. “Tra l’altro, abbiamo osservato che chi opera da più tempo in semplice endoscopia, forse perché ormai ne ha acquisito gli automatismi, impiega un tempo maggiore per impratichirsi con il robot”.
Dottor Felice Borghi, direttore del Dipartimento di Chirurgia Oncologica dell’Istituto di Candiolo – IRCCS.
Il training comincia con le simulazioni, prosegue in doppio con un tutor, grazie ai due robot gemelli di penultima generazione di cui già dispone Candiolo, uno dei quali appena arrivato insieme all’Sp; infine, si passa a operare da soli, con interventi via via più complessi. “In realtà, non si finisce mai d’imparare, perché lo sviluppo della robotica chirurgica è continuo”. Nel caso di Sp, viste le caratteristiche, si può parlare di un vero e proprio salto.
Questo di Candiolo è l’unico in Piemonte, il quarto in Italia. “Lo ha mai visto?”. “No”. “Allora, andiamo”.
Cambiati e attrezzati a dovere, entriamo nel silenzio ronzante di una sala operatoria, dove è in corso un intervento di urologia, la specialità d’elezione per l’uso dei robot. Negli Stati Uniti, dove Da Vinci SP ha esordito nel 2018, costituisce il 73% degli interventi, in prevalenza per trattare tumori del rene e della prostata. In entrambi i casi, permette di non passare dalla cavità peritoneale, risultando meno invasivo, anzi, propriamente miniinvasivo, ma non a scapito della qualità chirurgica.
Sul tavolo operatorio, un paziente, disteso in posizione supina, respira tranquillo, mentre un apparecchio collegato a una macchina oscilla leggermente sul suo addome, rivelando che il vero campo operatorio sta lì sotto, invisibile a tutti, tranne che al chirurgo. Dietro, seduto a una consolle immersiva, il professor Francesco Porpiglia, pioniere della chirurgia robotica in urologia, controlla su un monitor 3D quel che le sue mani comandano al robot, muovendosi veloci sui joystick. Sbircio anch’io sul video, e non colgo, nelle immagini, quei segni di stress e di trauma che di solito si notano negli interventi tradizionali e, anche se in misura ridotta, in quelli eseguiti in laparoscopia. Porpiglia, non ha bisogno di visori per anticipare la mia domanda: “Proprio così, il paziente avverte meno dolore e sanguina di meno, sia perché subisce un solo taglio di soli 3 centimetri, sia perché Da Vinci SP opera in spazi ancora più ristretti. Inoltre, come vede, non deve assumere posizioni innaturali durante l’intervento. E alla fine, grazie all’estrema precisione del robot, anche il rischio di errori è più basso”.
Professor Francesco Porpiglia secondo da sinistra, con l’équipe di Urologia dell’Istituto di Candiolo – IRCCS.
Borghi prosegue l’elenco dei vantaggi: “L’intervento col nuovo robot in media è più preciso, la ripresa più rapida, i tempi di ricovero anche: tutto questo si traduce in beneficio per il paziente e risparmio per la struttura ospedaliera. Un altro vantaggio economico da considerare è che il robot dà al chirurgo la possibilità di fare più cose insieme, quindi richiede spesso un operatore in meno nell’equipe”.
Grazie alle sue prestazioni, che spesso sfiorano il confine della cosiddetta microchirurgia, Da Vinci s’imporrà in molte altre specialità operatorie oncologiche, sostituendo, se non tutte le competenze umane, certamente gran parte della manualità diretta. In Europa, dove è stato introdotto nel 2023, il suo impiego cresce del 38% ogni anno e i grandi numeri contribuiranno a far calare il prezzo d’acquisto. Dei circa 500 interventi di chirurgia robotica programmati a Candiolo nel 2024, oltre un centinaio potranno essere eseguiti dal robot ‘monobraccio’. “Da Vinci SP – riprende Borghi – non è adatto a rimuovere grandi tumori, o a intervenire su persone obese, ma per il resto non presenta grandi controindicazioni. Negli Usa, si prevede che alla fine del 2025 la chirurgia robotica sorpasserà la laparoscopica nelle resezioni del colon, del retto, del pancreas e dell’esofago”.
In un futuro molto prossimo, i sistemi robotici diventeranno ancora più intelligenti e, soprattutto, capaci di realtà aumentata. “I prossimi modelli saranno dotati di feed back tattile per aumentare la sensibilità delle loro terminazioni ed evitare che commettano errori quali, ad esempio, la rottura del filo da sutura quando viene tirato troppo”. A un certo punto, con i robot, tutto si potrà risolvere in sala operatoria? “No, anche con quelli più evoluti, per la riuscita degli interventi resteranno fondamentali i protocolli Eras, che stabiliscono un percorso personalizzato di cure e di controlli idoneo sia a preparare nel modo migliore il paziente oncologico all’operazione, sia a favorirne la ripresa”.
Quanto al dubbio che i giovani chirurghi possano trovare meno interessante una specialità in cui devono dividere oneri e onori con macchine sempre più pensanti, Borghi, in base alla propria esperienza, sostiene il contrario: “I giovani sono naturalmente attratti dalle tecnologie di frontiera e spesso anche quelli che all’inizio avrebbero poco interesse per la chirurgia finiscono per sceglierla proprio grazie alla possibilità di usare i robot. Ed è una fortuna, perché la mancanza di chirurghi comincia a farsi sentire”.
Maurizio Menicucci – Giornalista scientifico