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I progetti di ricerca 5X1000 a Candiolo.

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Il 5X1000 e i progetti realizzati a Candiolo

Maurizio Menicucci: Per un centro oncologico come Candiolo, in continua e ambiziosa espansione, le risorse economiche non bastano mai. Oltre ai contenitori, le strutture cliniche e i laboratori come l’Oncolab che entrerà in funzione a breve, ogni anno porta nuovi contenuti. Progetti di ricerca cui la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro destina i contributi del 5X1000. Dopo avere ricordato che per donare bastano una firma e il codice fiscale della Fondazione, andiamo a vedere qualcuno di questi progetti, chi li realizza, con quali scopi, quali obiettivi terapeutici e perché è importante che vengano finanziati e possano procedere.

Il sottoprogetto DIATER

Maurizio Menicucci: Il cancro alla prostata è il tumore solido più diffuso e il secondo più mortale tra i maschi. Quello all’ovaio è il settimo tumore solido più diffuso, e il quarto più mortale per le donne. DIATER, condotto dal gruppo di ricerca della professoressa Sabrina Arena, è uno dei progetti attivi all’Istituto di Candiolo finanziati con il 5X1000 destinato alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Professoressa Arena, il nostro progetto DIATER punta ad approfondire il ruolo di alcune alterazioni dei geni che contribuiscono a riparare il DNA. Queste alterazioni possono avere un ruolo molto importante anche nei tumori uro-genitali.

Professoressa Sabrina Arena: Sì, esattamente. Il sistema di riparazione del DNA è fondamentale per la sopravvivenza dei tumori. Se noi individuiamo queste alterazioni e le colpiamo, possiamo cercare di inibire la crescita del tumore.

Cosa si propone di raggiungere DIATER?

Maurizio Menicucci: Possiamo entrare più in dettaglio della vostra attività di ricerca?

Professoressa Sabrina Arena: Noi ci proponiamo di identificare delle associazioni tra queste alterazioni genomiche e la loro risposta a farmaci di tipo chemioterapico o di tipo ormonale o anche di tipo bersaglio molecolare, per poter rallentare o addirittura inibire la crescita dei tumori stessi.

Maurizio Menicucci: Come tutti i progetti scientifici attivi a Candiolo, anche DIATER, prevede una stretta collaborazione, un continuo dialogo tra i medici e i ricercatori.

Professoressa Sabrina Arena: Noi, per poter validare maggiormente i nostri studi effettuati in laboratorio, abbiamo bisogno di utilizzare dei modelli preclinici che siano molto fedeli. Dei veri e propri pezzi dei tumori di questi pazienti da cui poter derivare questi modelli preclinici. In questo modo noi possiamo ottenere dei risultati che abbiamo precedentemente ottenuti in vitro anche in modelli derivati direttamente dai pazienti cosiddetti organi o avatar e traslare, cioè trasferire nella maniera più rapida possibile i nostri risultati al paziente stesso.

Maurizio Menicucci: E questo dipende anche dal numero di quest’altro tipo di donazioni da parte dei pazienti, cioè dei tessuti dei loro tumori.

Professoressa Sabrina Arena: Certamente, è importante dire, infatti, che questi studi, per essere effettuati, hanno bisogno del consenso dei pazienti prima di essere operati e grazie a questo consenso donano parte del loro tumore alla ricerca per poter effettuare questi studi.

Il sottoprogetto CHROM-ALL

Maurizio Menicucci: I filamenti del DNA sono molto lunghi perché devono contenere quella enorme mole di istruzioni che fanno di noi quello che siamo, come individui e come specie. Pensate che il DNA di una cellula è lungo due metri e deve stare tutto nel nucleo della cellula, che è microscopico? La natura ha risolto il problema compattando queste lunghe catene con una complessa serie di avvolgimenti e ripiegamenti. Le pieghe però non servono solamente a ottimizzare lo spazio, sono delle configurazioni in base alle quali le istruzioni contenute nel DNA vengono lette, quindi eseguite oppure ignorate. E un po’ come una libreria dove i libri più accessibili sono i più letti.

Ma la questione in realtà è un po più complicata. La struttura del DNA, infatti, non è costante. Alcune parti possono ripiegarsi in modo diverso, così che le istruzioni che erano in secondo piano diventano improvvisamente molto applicate e viceversa. Questo accade nello sviluppo di una cellula normale, ma ancora più spesso quando si trasforma in tumorale ed è all’origine del fenomeno della sua resistenza ai farmaci, che in tal caso è detta epigenetica perché è collegata non alla sequenza del DNA, ma alla sua architettura.

Individuare per tempo queste riorganizzazioni patologiche e il focus del progetto Imaging di Candiolo, finanziato grazie al 5X1000 destinato alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Dottor Boccalatte, nel suo piccolo lo possiamo dire visto le dimensioni di cui parliamo, quand’è che ha cominciato questi studi?

Dottor Francesco Boccalatte: Al San Raffaele dove studiavamo le cellule staminali del sangue e abbiamo capito che l’epigenetica era alla base della trasformazione di queste cellule staminali in senso tumorale. E questo poteva anche avere una conseguenza sulla resistenza ai farmaci che venivano dati ai pazienti. Alla New York University abbiamo proseguito questi studi e li abbiamo ampliati su una casistica più grande di pazienti per cercare di capire meglio il meccanismo.

Quale percorso segue il progetto CHROM-ALL?

Maurizio Menicucci: Quale percorso state seguendo?

Dottor Francesco Boccalatte: Noi siamo partiti da un’osservazione che molti clinici conoscono, cioè che prendendo un gruppo eterogeneo di pazienti che vengono trattati con lo stesso protocollo di chemioterapia, alcuni rispondono molto bene, mentre altri invece o rispondono poco già inizialmente o comunque vanno incontro a delle recidive precoci.

Studiando appunto la conformazione epigenetica del loro tumore, riusciamo a capire quali ripiegamenti della cromatina abbiano potuto favorire una resistenza ai farmaci. Quello su cui stiamo puntando in questo momento è utilizzare degli approcci terapeutici alternativi, di modo da riportare la configurazione della cromatina in una configurazione sana.

Maurizio Menicucci: Su quali tumori in particolare?

Dottor Francesco Boccalatte: Questi studi sono iniziati nel campo delle leucemie, soprattutto delle leucemie pediatriche, dove intanto la ricerca ha già fatto passi da gigante ed è stato possibile ottenere dei risultati molto convincenti. Adesso l’obiettivo sarebbe quello di trasferire gli stessi risultati anche nei tumori solidi dell’adulto, che sono la maggioranza dei tumori in trattamento qui a Candiolo.

Maurizio Menicucci: Lei arriva da New York. Scientificamente parlando ho avvertito la differenza fra Torino e la Grande Mela?

Dottor Francesco Boccalatte: Gli Stati Uniti investono delle somme di denaro enormi per quanto riguarda la ricerca biomedica. Gli italiani sono molto generosi, quindi comunque sono sempre più coinvolti nella ricerca e questo genera ovviamente un ritorno anche dal punto di vista delle scoperte che si fanno in Italia.

Specialmente la città di Torino in questi anni sta spingendo molto sull’attività di ricerca con l’università ma anche con le fondazioni, cosa che comunque sta rendendo questa città un polo di ricerca e di attrazione anche per scienziati internazionali. Quindi, è un buon momento secondo me per lavorare in questa città.

Il progetto CANCER IMGEN

Maurizio Menicucci: Dalle cellule del tumore, il nostro apparato immunitario si difende come fa con tutti i microrganismi patogeni: le attacca, le inattiva e le distrugge, mantenendone poi più o meno a lungo la memoria, l’impronta per intervenire in caso di successive infezioni. Il problema è che non sempre riesce a fare il suo lavoro, ad esempio perché il DNA delle cellule tumorali può avere sequenze mutate in numero non sufficiente a identificarle come estranee.

Il progetto Cancer Imgen, che impegna ben 30 ricercatori di Candiolo e ha prodotto finora 29 pubblicazioni scientifiche, studia appunto come aumentare la capacità del sistema immunitario di riconoscere le cellule cancerose e di eliminarle più velocemente di quanto si riproducano. Le strade sono due. La prima punta a farmaci monoclonali, cioè specifici per certe molecole, come una chiave per la sua serratura, capaci di bloccare i cosiddetti checkpoint, che sono particolari linfociti, con il compito di frenare l’azione delle altre cellule immunitarie contro quelle del tumore.

Professor Enzo Medico: La nostra ricerca consiste nel capire quali sono le mutazioni che vengono riconosciute meglio e in quali casi la terapia checkpoint può essere più efficace, oppure anche quali vie queste cellule stanno attivando per evadere ancora meglio anche la terapia checkpoint.

Maurizio Menicucci: La seconda strada su cui si muove l’oncogenomica è l’immunoterapia cosiddetta adottiva: punta direttamente al tumore con cellule immunitarie trasformate in killer, cioè armate di un recettore artificiale detto CAR, capace di riconoscere e agganciare e distruggere le cellule cancerose.

Professor Enzo Medico: Ci sono due principali modalità. Nel primo caso si prelevano cellule immunitarie dal paziente stesso, linfociti killer o cellule natural killer che normalmente non riescono a riconoscere il tumore e a eliminarlo e le si ingegnerizza, cioè gli si introduce questo recettore artificiale CAR esattamente per riconoscere ciò che quel particolare tumore presenta sulla superficie. Il grosso problema è fare in modo che uccidano il tumore, non le cellule normali.

Quindi c’è tutta una parte della genomica che riguarda il capire quali sono gli antigeni bersagli più specifici. Dopo di che queste cellule una volta modificate, ingegnerizzate, adesso hanno questo recettore possono riconoscere il tumore devono essere espanse cioè bisogna farle proliferare farne tante e poi reinfonderle nel paziente. Un’altra strategia prevede di usare cellule off the shelf, cioè dallo scaffale, cioè si preparano delle cellule che possono proliferare continuativamente e quindi si possono ingegnerizzare per più pazienti quindi con una preparazione si riescono a trattare più persone.

In quali tumori è efficace l’immunoterapia adottiva?

Maurizio Menicucci: L’immunoterapia adottiva è efficace soprattutto nei tumori liquidi come leucemie, linfomi, perché le loro cellule sono disperse nel fluido, così che per le cellule killer è più facile aggredirli. Nei tumori solidi, invece, le cellule cancerose formano tessuti che agiscono come barriere nei confronti delle cellule killer.

Professor Enzo Medico: Possono tutt’al più eroderlo un pochettino alla superficie. Nel frattempo le cellule dentro il tumore proliferano e quindi si crea una specie di equilibrio e la terapia non riesce a eradicare la malattia.

Maurizio Menicucci: E la soluzione qual è allora?

Professor Enzo Medico: Rendere le cellule killer in grado di superare questa barriera con alcuni enzimi o con alcune molecole, oltre che uccidere le cellule tumorali. Il secondo possibile approccio è cercare di applicare questa terapia quando il tumore è molto piccolo.

Maurizio Menicucci: Ma quand’è che possiamo avere questi piccoli nidi di cellule tumorali?

Professor Enzo Medico: In due principali condizioni quando il paziente viene operato di tumore e al momento quello era l’unico tumore visibile, però ci sono già micro metastasi che non si vedono ancora, ma che dopo uno, due, cinque anni si sviluppano, quindi dopo un intervento chirurgico. Si potrebbe anche immaginare questa immunoterapia adottiva su queste piccole lesioni. Oppure quando la malattia ha risposto molto bene a una chemioterapia, quindi si va in una condizione di remissione di malattia.

La malattia non si vede più però in molti casi, dopo una fase iniziale di remissione, quindi di sparizione della malattia questa ricompare. Chiaro che c’è stato un momento in cui poche cellule tumorali residue sono sopravvissute, poi pian piano ripartono. Stiamo studiando effettivamente con modelli sperimentali come aggredire un tumore che ha risposto molto bene, si è ridotto ai minimi termini, ma c’è ancora. Sappiamo che se sospendiamo la terapia il tumore riparte, ma allora in quel momento con l’immunoterapia adottiva è possibile fare qualcosa di più efficace che non su un tumore grosso ormai molto sviluppato.

Il progetto PROACTIVE

Maurizio Menicucci: I linfociti hanno un ruolo chiave anche nella lotta ai tumori. Ce ne sono di due classi i linfociti B e i linfociti T, Un particolare tipo dei linfociti T, i cosiddetti T killer, hanno una memoria immunitaria lunghissima fino a 100 anni e una particolare efficacia nell’uccidere le cellule del cancro. Questo continuo confronto, però, tende ad esaurirsi perdono la memoria immunitaria e sono meno efficaci come killer. E allora, per sapere chi e quando avrà una buona risposta immunitaria occorre tenere sotto controllo, diciamo così, la salute dei linfociti T. Dottoressa Pace, come si traduce tutto questo nel vostro progetto di ricerca che si chiama Proactive e che è uno di quelli finanziati dalla Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro con i fondi del 5X1000.

Dottoressa Luigia Pace: Nel progetto Proactive abbiamo l’ambizione di studiare circa 1000 pazienti affetti da diverse patologie, da diversi tipi di cancro, con lo scopo di comprendere come si diversificano questi linfociti e perché in alcune situazioni rispondono molto bene all’immunoterapia e in altre situazioni purtroppo non lo fanno. L’obiettivo quindi è identificare nuovi marcatori, nuove molecole che possano aiutarci a predire la risposta del paziente prima del trattamento.

Maurizio Menicucci: Avete inquadrato alcuni tipi particolari di tumore?

Dottoressa Luigia Pace: Stiamo studiando diversi tipi di tumore il tumore del colon retto, il tumore della mammella dell’ovaio, il melanoma e il tumore del polmone. Quindi ci sono diversi gruppi di studio. È uno studio multidisciplinare. Significa che diverse figure professionali medici, operatori, tecnici, ricercatori lavorano insieme in medicina traslazionale.

Su cosa indagano i ricercatori del progetto PROACTIVE?

Maurizio Menicucci: I ricercatori di Proactive indagano sui cosiddetti epitopi, le mutazioni che si verificano nei linfociti T e studiano in particolare il meccanismo con cui questi linfociti identificano le cellule del tumore come fossero marcate con vere e proprie etichette di riconoscimento.

Dottoressa Luigia Pace: Purtroppo, a causa di una continua esposizione al tumore, queste cellule specifiche, questi killer specifici perdono le loro funzioni. Lo scopo della ricerca è andare quindi a comprendere quali siano le etichette meglio riconosciute e come fa poi il sistema immunitario a colpirle e successivamente andare a potenziare la funzione del sistema immunitario per distruggere il tumore.

Maurizio Menicucci: In termini di risultati, qual è la differenza fra quelli che si ottengono con il vostro approccio e quelli che invece si ottengono con i farmaci oncologici tradizionali?

Dottoressa Luigia Pace: Il grande vantaggio dell’immunoterapia è che in questo caso non lavoriamo con delle molecole sintetiche, ma andiamo veramente a lavorare sulle cellule presenti nell’organismo in ciascuno di noi. Lo scopo principale quindi andare o a risvegliare queste cellule e lo si può fare bloccando i freni della risposta immunitaria, oppure spingendo verso la generazione di cellule della memoria immunologica, come per esempio utilizzando dei vaccini terapeutici che servono a trattare una malattia già in corso.

Maurizio Menicucci: Dunque abbiamo un effetto che dura molto di più rispetto ai farmaci tradizionali.

Dottoressa Luigia Pace: Esatto, Questa è la cosa più importante. La specificità della risposta, ma soprattutto la possibilità di mantenere queste cellule anche a lungo. Le persone centenarie, infatti, sono piene di cellule della memoria.

Progetto FOR GALE PREVENTION

Maurizio Menicucci: Anche il cibo si può considerare una medicina, visto che alimentarsi in modo sano aiuta a prevenire molte malattie, compresi i tumori. Una nutrizione mirata, inoltre, può contribuire in maniera molto efficace al percorso di cura dei pazienti oncologici. Tra i progetti di ricerca di Candiolo, finanziati attraverso il 5X1000 destinato alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, c’è For Gale Prevention. Il suo obiettivo è proprio quello di mettere a punto prodotti galenici, cioè realizzati dalla farmacia interna dell’Istituto e non dall’industria, capaci di minimizzare gli effetti collaterali delle terapie antitumorali.

Una parte del progetto, che è diretto da Valentina Casalone, riguarda gli immunonutrienti, prodotti utili a migliorare la risposta immunitaria allo stato infiammatorio generato dalla malattia. Nei pazienti operati di tumore gli immunonutrienti possono ridurre le complicazioni post-operatorie, mantenere un’adeguata forma fisica e affrettare la ripresa del paziente e la durata del ricovero.

Dottoressa Valentina Casalone: Il nostro progetto durerà complessivamente due anni e coinvolgerà pazienti con tumori del distretto testa collo del retto e del polmone.

Maurizio Menicucci: Ma non si tratta di ambiti già collaudati?

Dottoressa Valentina Casalone: Da un certo punto di vista sì, ma solo per quanto riguarda la fase operatoria. Noi invece studieremo tutti quelli che sono i nuovi setting in termini di chemioterapia, radioterapia e o immunoterapia. Nella prima fase monitoreremo ripetutamente nel corso delle terapie come variano alcuni parametri.

Maurizio Menicucci: E la seconda fase?

Dottoressa Valentina Casalone: Nella seconda fase monitoreremo i medesimi parametri, ma in aggiunta forniremo ai pazienti dei prodotti galenici contenenti una specifica miscela di immunonutrienti.

Chi produrrà i preparati galenici?

Maurizio Menicucci: Chi li produrrà materialmente questi preparati galenici?

Dottoressa Valentina Casalone: Verranno prodotti direttamente dalla farmacia dell’Istituto a seguito di una collaborazione che abbiamo avviato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologia del Farmaco dell’Università degli Studi di Torino, che ci ha proprio aiutato a idearli e a produrli.

Maurizio Menicucci: Dottoressa Casalone perché galenici e non prodotti diciamo industriali?

Dottoressa Valentina Casalone: I prodotti industriali attualmente presenti in commercio sono molto validi ma purtroppo non sono sempre ben tollerati dai pazienti, sia per una questione di gusto sia per una questione di digeribilità e inoltre sono dei prodotti spesso molto cari. Quindi noi abbiamo deciso di affidarci alla produzione galenica proprio per avere dei prodotti che siano meno costosi e al contempo potenzialmente meglio tollerabili da parte dei pazienti.

Maurizio Menicucci: Lei ha parlato di gusto. Ecco quanto è importante il palato per un paziente oncologico?

Dottoressa Valentina Casalone: Il gusto è veramente fondamentale quando si parla di alimentazione nei pazienti oncologici. Non dobbiamo infatti dimenticare che l’alterazione dei gusti è proprio uno dei sintomi che impattano maggiormente sulle abitudini alimentari dei pazienti. Per questo motivo, quando abbiamo ideato questi prodotti galenici, ci siamo proprio focalizzati sul gusto per fare in modo di creare un prodotto che sia il più possibile gradito da parte dei pazienti.