20/02/2024
Laura Berti: Buongiorno e bentornati a Medicina 33. Ogni anno in Italia vengono diagnosticati più di 55.000 casi di tumori del seno. Con questi numeri la neoplasia si presenta come la più frequente nel genere femminile in tutte le fasce d’età.
È una neoplasia che non coinvolge soltanto il corpo, ma anche la parte emozionale di una donna, perché la colpisce nella femminilità. Ma quanto sono cambiate nel tempo le tecniche chirurgiche per eliminare il tumore del seno? Lo vedremo insieme, ma in studio con noi il dottor Antonio Tosca, Direttore del programma di chirurgia senologica dell’Istituto di Candiolo – IRCCS, ci parlerà di una nuova tecnica per eliminare il tumore del seno anche quando si tratta di mastectomia. E fra pochissimo lo vedremo. Ma vediamo intanto qual è stata l’evoluzione della chirurgia del tumore del seno negli anni con Andrea Martino poi torniamo in studio.
Andrea Martino: È in questo papiro scritto nel 3000 avanti Cristo, che troviamo la prima descrizione di un tumore al seno. Nei geroglifici tradotti non si parla di cure mediche improntate su incantesimi o formule magiche, ma vi è un approccio scientifico alla malattia. Più avanti, nell’epoca dell’Impero romano, il medico e filosofo Galeno paragona il cancro al seno a un granchio che come tale doveva essere rimosso chirurgicamente.
Nel corso dei secoli successivi ci furono diversi tentativi di rimozione dell’intero seno per asportare il tumore, ma il tasso elevato di mortalità associata a questo intervento scoraggiò questa pratica. Rimuovere chirurgicamente in modo sicuro ed efficace un tumore al seno è una conquista recente della medicina e i primi passi in avanti sono iniziati verso la metà del 1800, con l’avvento dell’anestesia che permetterà di svolgere interventi al seno più sicuri ed efficaci per almeno un secolo e mezzo.
La mastectomia, dunque la rimozione completa del seno, è stata la tecnica più utilizzata, ma anche molto controversa perché molto invasiva e demolitiva per la donna. Ma la medicina è in continua evoluzione e così nel corso del 20° secolo anche la chirurgia del seno è diventata sempre più comune grazie agli sviluppi nella tecnica e nella comprensione delle malattie del seno.
Negli anni ’60 l’oncologo Umberto Veronesi, dopo uno studio in Italia da lui guidato e sostenuto anche da AIRC e la Fondazione per la Ricerca sul Cancro, sviluppa una tecnica chiamata quadrantectomia che prevede la rimozione solo di una parte del seno e non più dell’intero organo. Questo approccio conservativo ha permesso di salvare più tessuto mammario e consentito alle donne di preservare la forma e l’aspetto del seno. E dunque anche un grande aiuto dal punto di vista psicologico.
Sale operatorie sempre più tecnologiche, con strumenti chirurgici avanzati come laser, endoscopia e strumenti robotici hanno consentito ai chirurghi di eseguire interventi più precisi e meno invasivi. Tutto questo ha portato a una riduzione delle cicatrici dei tempi di recupero e dei rischi associati alla chirurgia del seno. Oggi le donne hanno accesso a un ampio ventaglio di opzioni chirurgiche che vanno dalla rimozione del tumore alle procedure di ricostruzione del seno.
Miglioramenti anche sul fronte della prevenzione. Sono stati sviluppati nuovi metodi di valutazione e diagnosi del cancro al seno, come la mammografia digitale, l’imaging a risonanza magnetica, strumenti che consentono ai medici di individuare precocemente eventuali anomalie e di fornire una diagnosi più accurata.
Laura Berti: Abbiamo visto dottore quanto siamo andati avanti soprattutto negli ultimi decenni con Umberto Veronesi che ha proprio rivoluzionato il modo di approcciarsi al tumore del seno con la quadrantectomia e poi si è andati ancora avanti. Voi a cosa siete arrivati?
Dottor Antonio Toesca: Negli ultimi dieci anni si è sviluppata una tecnica di mastectomia conservativa con tecnica mininvasiva. Purtroppo, alcuni casi di tumore al seno oggi ancora non possono essere sottoposti a una terapia conservativa, quindi devono eseguire un intervento di mastectomia. Si è cercato di ridurre al minimo l’impatto dell’asportazione di tutta la ghiandola mammaria, nascondendo la cicatrice dalla visione della paziente quindi spostando la cicatrice la ferita dalla pelle della mammella all’ascella.
Questo può essere solo eseguito attraverso una tecnica mininvasiva, quindi attraverso l’utilizzo di strumentazione adeguata che permetta di fare tagli chirurgici, incisioni chirurgiche molto piccole, nascoste, lontane dal seno, così da poter lavorare in sicurezza con una telecamera in sicurezza, con degli strumenti che siano di alta precisione, che siano sicuri e che permettano di svuotare tutta la pelle, conservare il complesso areola capezzolo, togliere tutta la ghiandola mammaria, di necessità ovviamente, e poter ricostruire allo stesso tempo sempre dalla medesima piccola incisione nascosta sotto l’ascella.
Laura Berti: Ecco quando può essere effettuato un intervento di questo tipo che obiettivamente sarebbe il massimo data la situazione, con una cicatrice praticamente invisibile?
Dottor Antonio Toesca: Allora, diciamo che le indicazioni per poter fare questo tipo di intervento chirurgico sono molto adattabili e dipendono sicuramente dalla condizione della malattia. Quindi, nelle pazienti con una neoplasia che coinvolge la cute, piuttosto che coinvolge il complesso areola capezzolo o coinvolge la parete toracica, questo tipo di intervento non si può eseguire. Nelle pazienti invece, che hanno dei tumori piccoli, multi centrici, delle microcalcificazioni tumorali diffuse su tutto il seno che necessitano una mastectomia, in effetti sono candidabili per questo tipo di chirurgia mininvasiva.
Laura Berti: Ecco, mi scusi, no la interrompo perché è una cosa che mi interessa molto naturalmente la ricostruzione contestuale all’intervento.
Dottor Antonio Toesca: La ricostruzione solitamente, quando viene applicata questa tecnica mininvasiva, viene eseguita contestualmente nello stesso intervento chirurgico. L’obiettivo che si cerca di ottenere è quello di ricostruire con una protesi immediata che può essere posizionata sotto la pelle o che può essere posizionata dietro il muscolo. Però, l’obiettivo è quello di far uscire dalla sala operatoria la paziente con un intervento definitivo.
Diciamo che la tecnica mininvasiva può essere eseguita con il robot. Può essere eseguita con gli strumenti laparoscopici che solitamente vengono utilizzati per la chirurgia addominale attraverso piccoli buchi e a seconda dell’anatomia del seno, a seconda delle preferenze della paziente, a seconda proprio del tipo di patologia o il motivo per cui si fa l’intervento chirurgico, viene deciso quale tipo di strumento utilizzare.
Laura Berti: Ecco torniamo al discorso della protesi perché spesso diciamo contestualmente all’intervento di rimozione del tumore si utilizza un espansore.
Dottor Antonio Toesca: È così l’espansore tissutale viene utilizzato quando i tessuti dopo la rimozione della ghiandola mammaria sono sofferenti. Diciamo che applicando, presso il nostro Istituto di Candiolo – IRCCS, questo tipo di chirurgia mininvasiva, attraverso l’utilizzo del robot o attraverso l’utilizzo degli strumenti laparoscopici, si riescono a minimizzare i traumi dovuti all’asportazione della ghiandola.
Questo permette di aumentare significativamente il posizionamento di una protesi definitiva durante lo stesso intervento di asportazione viene ricostruito definitivamente riducendo al minimo la percentuale di probabilità di utilizzo di una protesi che è sicura, però disagevole per la paziente, che necessita in un secondo tempo di un altro intervento.
Laura Berti: Perché quando si mette l’espansore, ovviamente, poi bisogna toglierlo e mettere la protesi in un momento successivo con un disagio per la paziente.
Laura Berti: Senta ultima domanda: naturalmente tutto questo è coperto dal sistema sanitario nazionale?
Dottor Antonio Toesca: La paziente può essere operata con queste tecnologie con il sistema sanitario nazionale senza dover aggiungere assolutamente nulla.
Laura Berti: Grazie dottore.
Dottor Antonio Toesca: Grazie a lei è stato un piacere.